Raccomandazioni sull'uso degli anglicismi

Introduzione

Anglicismi e altre parole straniere: perché possono essere un problema?

Oltre che dai mutamenti delle realtà che descrive o esprime, una lingua è anche condizionata dai suoi contatti con altri idiomi e in particolare dagli apporti di parole o di significati di altre lingue e di altre culture. È noto, ad esempio, che l’italiano trae gran parte del suo lessico dal greco e dal latino e che si avvale inoltre di numerosi prestiti, peraltro ormai perfettamente assimilati, dal francese, dallo spagnolo, dal tedesco, dall’inglese e via dicendo: secondo alcune analisi sarebbero oltre 250 le lingue di cui l’italiano è debitore (Cfr. Tullio De Mauro, Marco Mancini, Dizionario delle parole straniere nella lingua italiana, Garzanti, Milano 2001, p. XII).

Nonostante l’importanza fondamentale di questa mutua contaminazione lessicale e culturale per l’esistenza e la vitalità di ogni singola lingua, l’uso di parole straniere in una lingua sottostà a determinati principi e richiede sempre precise precauzioni, soprattutto nelle comunicazioni di carattere ufficiale tra la pubblica amministrazione e i cittadini. Infatti, se è vero che molti termini stranieri arricchiscono il patrimonio di una lingua, occorre considerare che la lingua ha una grande inerzia e che l’assimilazione di nuovi termini e le altre modificazioni di una lingua avvengono su periodi assai lunghi. La lingua, come scrive un noto linguista (Cfr. Gian Luigi Beccaria, Italiano antico e nuovo, Garzanti, Milano 1992, p. 45), è conservatrice al massimo, perché estremamente lenti sono i suoi cambiamenti profondi e, aggiungeremmo noi, perché soltanto in quanto codice assodato, basato su regole fisse e su elementi costanti serve a comunicare in modo ottimale con un pubblico il più ampio possibile.

Questo ultimo dato di fatto contrasta evidentemente con il ritmo frenetico con cui oggigiorno si succedono le innovazioni e scoperte nei campi della scienza, della tecnica, del commercio, dell’economia, dell’informatica, delle telecomunicazioni e con le incidenze linguistiche che vi sono connesse: nuove terminologie e fraseologie, di derivazione prevalentemente angloamericana, nascono quotidianamente sollecitando in modo più o meno invasivo le capacità integrative delle altre lingue. Già latente da anni, il fenomeno è stato esacerbato recentemente dagli sviluppi della teleamministrazione, ossia dall’ingresso nella realtà e nei processi lavorativi degli enti pubblici delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione caratterizzate da una terminologia settoriale quasi esclusivamente inglese e dalla diffusione tanto rapida quanto incontrollata di idioletti e usanze disinvolte (ad es. il cosiddetto «internettese»). Al di fuori di questo ambito specifico, l’uso di parole e stilemi stranieri è comunque favorito anche da altri tipi di motivazioni: velocità della comunicazione, retorica commerciale globalizzata, seduzione dei termini nuovi ed esotici, prestigio dell'uso di un linguaggio di moda, per citarne solo alcuni fra i principali.

A dispetto di tali tendenze e attrattive, nei rapporti tra l’amministrazione federale e il pubblico la proliferazione di anglicismi e di altre parole straniere può comportare diversi inconvenienti: trattandosi di termini solitamente recenti la loro comprensione non è univoca e ognuno li capisce a modo suo; i termini di uso non generalizzato possono emarginare i non addetti ai lavori e sortire anzi un effetto destabilizzante; siffatte parole creano problemi di comprensione invece di servire alla comunicazione tra Stato e cittadini, intaccando anche l’identificazione di questi ultimi nelle istituzioni; far capo in modo irriflessivo a parole straniere disattende la responsabilità dello Stato nei riguardi delle lingue ufficiali e rischia a medio e lungo termine di tarpare o isterilire le risorse lessicali specifiche di ogni lingua ufficiale.

La redazione di testi ufficiali e le parole straniere

Quando si redige un testo a nome di un’autorità o di un’unità amministrativa della Confederazione si sa in generale di non scrivere a titolo privato o in un codice segreto. Non sempre però si è consapevoli di tutti i vincoli cui sottostà un testo ufficiale destinato al pubblico, come la chiarezza, la completezza, la precisione e via dicendo. Le seguenti indicazioni compendiano alcune domande preliminari che occorre porsi per poter affrontare con la dovuta consapevolezza le principali opzioni linguistiche e terminologiche relative all’uso di parole straniere nei testi amministrativi.

Aspetti generali

Per chi si scrive? Adeguare il messaggio al destinatario

Occorre in primo luogo chiedersi chi sia il destinatario del testo che ci si appresta a redigere. Se nello scambio d’informazioni tra addetti ai lavori o tra specialisti risulta spontaneo ricorrere a terminologie settoriali e a tecnicismi, un testo destinato al pubblico deve invece situarsi nello stesso contesto culturale dei cittadini a cui è rivolto; deve pertanto rispettare la loro lingua e far leva, per trasmettere l’informazione, sul significato comune delle parole e sulle parole di uso corrente. Siccome non si pretende che tutti siano specializzati in ogni materia, così non è lecito presupporre che tutti i cittadini siano poliglotti oppure, per quanto attiene all’uso di anglicismi, che tutti sappiano correntemente l’inglese. Prima di inserire parole straniere in un testo destinato al pubblico ci si domanderà quindi se sono di uso comune e generalmente comprensibili. Se non è il caso, si opterà per l’equivalente nella lingua ufficiale oppure, qualora questo non esista, per una locuzione esplicativa oppure per un adeguato commento associato al termine.

Quale testo si scrive? Valutare le conseguenze di un testo

La categoria dei testi dell’amministrazione destinati al pubblico è assai eterogenea: dai comunicati stampa ai disegni di atti normativi, passando per i rapporti, le circolari, le lettere, gli opuscoli e via dicendo. In questa ampia tipologia vi sono testi che più di altri fungono da base o comunque da riferimento per l’elaborazione di una molteplicità di altri testi e che, proprio per questa ragione, hanno maggior peso. Ad esempio, in virtù della sua longevità, del suo carattere vincolante e della sua dinamicità produttiva di testi subordinati (ordinanze, istruzioni, direttive, regolamenti, ecc.) un testo normativo esercita sotto il profilo testuale e terminologico la funzione di modello ben più marcatamente che un’effimera lettera o un occasionale comunicato stampa. Un termine introdotto in una legge federale sarà obbligatoriamente ripreso in numerosi altri testi afferenti e nella prassi del settore interessato. Nella redazione occorre pertanto sempre valutare, in funzione del tipo di testo in questione, quali saranno le conseguenze su altri testi e nella prassi delle opzioni terminologiche adottate, segnatamente anche rispetto all’uso di termini stranieri.

Cosa dicono i testi precedenti? Coerenza intertestuale

Un importante fattore di chiarezza e comprensibilità dei testi dell'amministrazione è la coerenza e la continuità della terminologia assodata. Questo non significa che il linguaggio amministrativo debba per forza essere rigido e impermeabile ad ogni mutamento, ma che ogni innovazione lessicale in un determinato settore o in uno specifico tipo di testo deve essere ponderata quanto alla sua reale opportunità e alla sua armoniosa integrazione nel contesto terminologico del settore in questione. Ad esempio, la sostituzione di un termine consolidato con un termine straniero di uguale significato ed estensione semantica non ha senso e può anzi essere fuorviante (ad es. denominare project manager chi sinora si è sempre chiamato capoprogetto quando in sostanza la funzione è esattamente la medesima).

Rispetto e tutela delle risorse delle lingue nazionali

L’articolo 70 Cost. sancisce il tedesco, il francese, l’italiano e parzialmente il romancio come lingue ufficiali della Confederazione. Ne risulta, tra l'altro, che le lingue con cui le autorità federali comunicano con il pubblico sono le lingue nazionali e che, di riflesso, nella loro pratica linguistica gli organi federali sono tenuti a rispettare e a tutelare le risorse e specificità di ognuno di questi idiomi. Ne va della comprensibilità per il cittadino del linguaggio amministrativo, della realizzazione di un vero plurilinguismo e della conformità al dettato costituzionale. Per quanto concerne l’uso di termini stranieri, questo significa che l'approccio delle autorità federali a questa problematica dev’essere differenziato a seconda delle specificità e sensibilità di ognuna delle lingue ufficiali (ad es. diffidare delle soluzioni uniformi passe-partout) e che piuttosto che accogliere affrettatamente termini stranieri occorre innanzi tutto far capo alle risorse e ai potenziali lessicali delle singole lingue.

Funzione didattica dei testi dell'amministrazione

I testi dell’amministrazione in generale non veicolano soltanto informazioni ma permettono anche al cittadino di foggiarsi un’immagine delle autorità (e indirettamente di identificarvisi) e, grazie soprattutto alla loro ampia diffusione e al loro carattere comunque «ufficiale», contribuiscono in misura non trascurabile alla cristallizzazione di determinati usi linguistici e a divulgare concetti nuovi o poco diffusi. A prescindere dal loro carattere più o meno vincolante, i testi prodotti dall’amministrazione pubblica adempiono dunque anche una certa funzione didattica in senso lato, incidono sull’uso della lingua da parte della società e sono uno dei fattori d’identificazione del cittadino nelle istituzioni; di tutti questi aspetti è opportuno che gli estensori tengano debitamente conto anche quando valutano l’opportunità di ricorrere a termini stranieri di moda.

Aspetti particolari

Prima di optare per una parola o per un’espressione straniera è opportuno effettuare una breve indagine:

Uso di forestierismi

  • è assolutamente necessario ricorrere a questa parola oppure vi è un equivalente? Cosa dicono al proposito i dizionari, la pagina Internet sugli anglicismi e le altre parole straniere, i manuali linguistici?
  • la parola è correntemente usata con il medesimo senso e generalmente comprensibile (in testi analoghi, nella stampa, ecc.)?
  • la parola è usata anche in altri ambiti istituzionali svizzeri (ad es. grandi società, associazioni di livello nazionale, autorità cantonali, ecc.)?
  • la parola è usata anche in altri ambiti istituzionali all’estero (Unione europea, Stati europei dove si parla la medesima lingua, ecc.)?
  • qual è il suo trattamento sotto il profilo grammaticale nella lingua italiana (grafia, genere, plurale, accordo, sillabazione, ecc., cfr. le indicazioni qui appresso)?

Denominazione di unità amministrative

Nel designare le proprie unità o servizi l’amministrazione federale deve dar prova del medesimo riguardo verso le lingue nazionali come nella pubblicazione dei suoi testi ufficiali. Denominazioni di uffici, servizi e altri enti ufficiali nelle quattro lingue nazionali riflettono meglio il plurilinguismo svizzero, sono più trasparenti e denotano comunque maggiore attenzione verso le lingue nazionali rispetto alle denominazioni monolingue solitamente costruite sull’inglese (es. Swissmint, Service center, Help desk, ecc.).

Denominazione di progetti e altre attività particolari

Soprattutto se si collabora con altri Stati o se la propria attività ha ambizioni anche internazionali può essere attrattivo designare con un termine inglese un progetto o un tipo di attività: e-government, e-voting, quality management, gender mainstreaming, ecc. Per le stesse ragioni indicate sopra, anche in questo caso occorre ponderare gli interessi presenti con la necessità per lo Stato di tutelare le lingue ufficiali e di comunicare in modo chiaro e comprensibile per il maggior numero possibile di cittadini.

Slogan per campagne mirate

«Feel your power!», «Fair-play at home»: anche la scelta dei motti a cui improntare campagne pubbliche dovrebbe per quanto possibile riflettere il plurilinguismo svizzero, nonostante taluni principi attualmente in voga della logica pubblicitaria. Valgono inoltre a questo proposito le considerazioni esposte sopra.

Trattamento linguistico degli anglicismi e altre parole straniere nella lingua italiana: alcune raccomandazioni

Grafia

Le parole straniere entrate nell'italiano corrente si scrivono secondo la loro grafia nella lingua d'origine e, tranne in caso di prospettiva metatestuale, non vanno evidenziate con caratteri formali speciali (corsivo, virgolette, grassetto, ecc.). Se la lingua d'origine non usa caratteri latini occorre traslitterare la parola secondo la relativa norma ISO (IS0 9 cirillico - latino, ISO 233 arabo - latino; ISO 259 ebraico - latino) oppure attenersi alla grafia invalsa nei quotidiani o nei dizionari (es. muezzin, burqa).

Le parole relative al mondo di Internet che hanno il prefisso "e-" si scrivono in italiano con e minuscola e trattino seguito da iniziale pure minuscola: e-mail, e-procurement, e-zine e non email, e-Mail né E-mail.

Plurale

Le parole straniere entrate nell’uso italiano sono invariabili. Si dirà dunque due referendum (e non referenda), due bungalow (e non bungalows), diversi panachage (e non panachages), gli hobby (e non hobbies). Fanno evidentemente eccezione le parole entrate in italiano già nella forma plurale, che la conservano: blue-jeans, fines herbes, ecc.

Sillabazione

Nel caso di singole parole straniere inserite in una frase italiana è ammessa la divisione in fin di riga seguendo le regole applicabili per l’italiano. Qualora invece sia riprodotto un intero brano in una lingua straniera, occorre attenersi alle regole della lingua in questione (cfr. ad es. Roberto Lesina, Nuovo manuale di stile, Zanichelli, Bologna 1998, Appendice C "Divisione delle parole in altre lingue").

Genere

Di regola il genere delle parole straniere prese in prestito nell’italiano non cambia rispetto alla lingua d’origine (es. la Stimmung, la madeleine). Se nella lingua d’origine il termine è di genere neutro, in italiano diventa solitamente maschile (es. il Kinderheim).

Per i termini ripresi dall’inglese il loro genere nell’italiano dipende in linea di massima dal genere della corrispondente parola italiana: la mailbox (casella di posta elettronica), la blue chip (azione di un'impresa considerata affidabile), il juke-box (apparecchio automatico per ascoltare dischi in locali pubblici). Questa regola empirica non è sempre rispettata o comunque non consente sempre di determinare chiaramente il genere di talune parole. Ad es. web è maschile mentre il suo equivalente rete è femminile e vi è ancora incertezza sul genere di e-mail.

Articolo

Con le parole straniere si usa solitamente l’articolo che si userebbe per una parola italiana che inizi con il medesimo suono: il jazz , la jam session, lo chèque, la chat, lo smoking, ecc.

Per le parole che iniziano con l’«h» l’articolo dipende dal valore fonetico dell’iniziale: se è muta si usa l’ o un (l’harem, un hotel, l’home page, l’hinterland), se è aspirata lo o uno (lo hammam).

Davanti alla «w», abbia essa valore di u semiconsonantica (es. windsurf, week-end) o di v (es. wafer, wattmetro), è invalso l’uso di il o un (es. il warrant, un workshop, il windsurf).

Italianizzazione mediante prefisso o suffisso

Nel mondo in rapida evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è molto viva anche la tentazione di creare neologismi per esprimere realtà che non dispongono ancora di una denominazione uniforme o generalmente assodata. In questo ambito può risultare proficuo far capo a determinati prefissi particolarmente produttivi (ad es. tele -, da cui telelavoro, telematica, teleamministrazione; cyber - da cui cybernauta, cyberspazio, ecc.) oppure italianizzare taluni verbi o sostantivi inglesi mediante l'aggiunta di suffissi: scrollare (da to scroll), linkare (da link), chattare (da chat).

Nonostante tali tentazioni e la relativa permeabilità dell’italiano (soprattutto colloquiale e giovanile) a questo tipo di coniazioni, nei testi amministrativi occorre procedere con estrema cautela e prudenza per le ragioni esposte nell’introduzione delle presenti raccomandazioni. Ci si atterrà in particolare alle parole di uso corrente e possibilmente già lemmatizzate nei dizionari e si opterà per le perifrasi costruite con parole note piuttosto che per neologismi arditi ma poco chiari e comunque non ufficiali: ad es. «inviare una e-mail» invece di mailare, «partecipante ad una chat» invece di chattista, «principio dell’auto condivisa tra più utenti» invece di carsharizzazione, «testo prelevato da Internet» invece di testo downloadizzato.

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